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Che v' importa?
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Purché l' odiata minoranza sia al 58!
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Il commissario?
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Oh il commissario è una bazzecola, un gingillo, che in breve tempo si scuote di dosso;
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fingendo di dimenticare che l' ultimo commissario con una situazione meno confusa rimase a Trento circa sei mesi e che tale periodo è quasi normale per tutte le amministrazioni.
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E poiché per il 1911 non possediamo preventivo e l' applicazione del bilancio 1910 colle nuove tasse è sospesa ed incerta, e del consuntivo 1909 non si è fatto ancora lo studio, i sei mesi del commissario vogliono dire in realtà che i cittadini dello stato del Comune non sapranno per lungo tempo un bel nulla.
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E se questa non è la sospensione dell' autonomia civica, che ha da venire ancora?
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Forse che si cambino le divise alle guardie ed ai vigili cittadini?
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Ah!
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L' Alto Adige non la prendeva così alla leggera l' altra volta!
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[
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Quando nel 1903 gli attacchi dei democratici contro i moderati provocavano la crisi Brugnara e la minoranza democratica si apprestava alla battaglia decisiva contro la frazione liberale che l' Alto Adige chiamava « cariatidi del passato », allora l' Alto Adige vedeva nel provocare lo scioglimento ed il commissario una colpa, di cui tentava scagionarsi, altra volta dichiarava che i consiglieri avevano date le dimissioni per evitare la tutela governativa, vale a dire per « tener alto il decoro ed il prestigio della città ».
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Infine quando il commissario venne, proclamava non essere « lecito decorosamente ad un cittadino di Trento di legittimare col suo intervento » il procedere del Governo.
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[
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Con quanta visibile soddisfazione poi l' organo democratico metteva sotto gli occhi ai parlamentati il Corriere della Sera che parlava con scherno di « affidare Trento ... a Innsbruck » o la Bozner Zeitung la quale scriveva:
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[
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« Non c' è maggior vergogna per un comune autonomo di quella di essere amministrato da un commissario governativo, per incapacità di amministrazione, come è il caso attualmente a Trento ».
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Oggi invece la democrazia liberale – coll' innocenza dei fanciulli – si trastulla a bell' agio, e getta e rivolta i dadi e corre oltre Salorno, sale e ridiscende il Brennero ed entra claudicando come un pezzente nella capitale del Tirolo?
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Che importa?
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Qui è il 58 ed il 58 è la morte della minoranza.
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L' autonomia del Comune di Trento non è oggi più di uno « sport che i clericali di Trento vorrebbero far diventare di moda ».
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Articolo sulla rivista « Monde illustré », già « L' illustration »
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Quando penso ai tributi di affetto e di ammirazione che l' intelligenza francese ha sempre offerto a questa nostra Italia ricordo come esempio il fresco e delizioso scenario su cui si alza in un mattino d' ottobre il sipario sulla « vita di Henri Brulard », quando lo scrittore, che sta per toccare la cinquantina, contempla Roma stesa ai suoi piedi dall' alto del Gianicolo.
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[
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È appunto leggendo e studiando la letteratura francese, la migliore, che ci si convince dell' amore profondo e delicato dei francesi per questa terra italiana che, in ogni tempo, li ha accolti e curati.
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Il Petrarca andò a rimare in Valchiusa, ma quanti sono i poeti di Francia che trovarono presso di noi la fonte della loro ispirazione!
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Lungo tutto l' ultimo secolo, quell' 800 percorso da un capo all' altro da una linfa viva e vigorosa, quanti scrittori francesi passarono le Alpi e vennero a meditare sui paesaggi e le rovine e le glorie della penisola!
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[
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Da Chateaubiand a Lamartine, a Zola, a Anatole France e più giù fino ai più moderni, le lettere francesi sono intrise di quel « profumo di Roma » che il Veuillot seppe così felicemente scoprire e illustrare nel centro della cattolicità.
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Sul terreno letterario, così ricco al tempo stesso di poesia e di palpitante realtà, si attua istintivamente e spiritualmente la prima intesa vera, il primo incontro tra i nostri due popoli.
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E nel periodo più triste della nostra storia recente, di fronte allo sperpero inconsiderato delle nostre forze ed energie migliori, al disprezzo delle nostre più pure tradizioni religiose e morali, al sistematico e testardo rifiuto di riconoscere ed ammettere i legami spirituali che uniscono gli italiani ai francesi, durante quegli anni nei quali una spietata volontà di distruzione è stata lì lì per soffocare i nostri interessi essenziali e le nostre aspirazioni profonde, durante gli anni della umiliazione dello spirito, la speranza e la fede si sono ritemprate nella letteratura.
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Gli italiani, ai quali si tentava ufficialmente imporre di odiare la Francia, si dettero a ricercare, come non mai prima, gli autori francesi e, in mancanza dei più moderni, a rileggere gli antichi;
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[
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ma in alcun momento consentirono a privarsi del nutrimento spirituale della cultura francese.
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A questi italiani sitibondi di letture francesi sarebbe desiderabile che la Francia inviasse oggi le sue nuove pubblicazioni migliori affinché la corrente degli scambi intellettuali riprendesse prima che gli oculati negoziatori e i cultori della formalità giuridica abbiano determinato il volume e la qualità degli scambi materiali.
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[
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Io so che ogni italiano accoglie nel suo cuore il desiderio di mantenere con la Francia le relazioni più amichevoli, e credo e spero che ogni francese sia animato dagli stessi sentimenti, se così non può mettersi in dubbio che la volontà di intese non trionfidi qualsiasi difficoltà e che gli ostacoli sparsi sul nostro cammino non siano facilmente abbattuti.
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[
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] |
Ma in fondo vi è così poco da fare per realizzare l' unione tra i nostri due popoli:
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essi sono così simili, essi hanno gli stessi desideri e gli stessi slanci, sono accesi dalle stesse passioni;
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aggiungerò che hanno gli stessi difetti.
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Che cosa manca allora per una comprensione perfetta?
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Che cosa dobbiamo fare, che cosa dobbiamo augurarci per poter camminare l' uno al fianco dell' altro, tenendoci per mano, in mezzo a questo mondo agitato, in questa Europa tormentata?
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[
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"entity_text": "Europa",
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Occorre conoscerci meglio, sapere ognuno ciò che l' altro pensa su una determinata questione, come giudica un fatto, un' idea, una proposta.
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Se si potesse far questo, saremmo stupiti nel constatare che abbiamo su molti argomenti le stesse idee e che i nostri pensieri si incontrano più spesso che non pensiamo.
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I secoli sono passati sui nostri due paesi e vi hanno depositato il loro bagaglio di cose buone e cattive;
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bisogna oggi coraggiosamente affondare la mano nelle scorie, fare opera di selezione, separare il buon seme dalla zizzania, saper dimenticare certi ricordi sgradevoli per ambedue, sapere a tempo debito chiudere un occhio su una debolezza, perdonare uno sbaglio, e invece mettere in valore un movimento spontaneo del cuore, e soprattutto mirare a ciò che è essenziale, solido, durevole.
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Ora niente potrà meglio contribuire a quest' opera salutare come lo scambio regolare ed accorto dei prodotti dell' intelligenza.
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Nel nostro caso conoscerci meglio vuol dire amarci.
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Accanto alla cultura il vincolo più efficace e prevalente è quello del lavoro.
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Quasi un milione di italiani risiedono e lavorano nelle terre metropolitane di Francia, altre numerose migliaia nell' Africa del nord.
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Un' emigrazione ben ordinata, posta sulle basi di assoluta fiducia e fraternità, sarà il cemento più saldo della nostra comune vitalità.
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Bisogna che ogni sforzo sia fatto per raggiungere questa collaborazione delle due nazioni nel campo del lavoro, del progresso sociale, dell' elevazione delle opere manuali, sia nei campi come nelle officine.
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Ogni affinità culturale e sentimentale minaccia di restare privilegio di pochi se non è sostenuta dalla solidarietà delle categorie che coltivano la terra, costruiscono le case, servono le macchine, sviluppano i commerci.
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È in questo flusso di italiani che vanno e vengono dalla Francia, lasciandovi l' impronta della loro fatica, che vedo attuarsi la legge umana delle necessarie integrazioni fra nazioni affini.
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Bisogna che di qua e di là delle Alpi prendiamo nuova consapevolezza di tali leggi, di questa solidarietà di salvezza che la natura e la storia ci offrono e che sarebbe delitto contro il consorzio umano e a un tempo contro le nazioni sorelle di respingere e contrastare.
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Voglio concludere ricordando una frase di Louis Veuillot che mi ritorna in mente:
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« Roma è la città delle anime.
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[
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Essa parla una lingua che tutte le anime possono comprendere ».
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Voleva il grande cattolico parlare di un' anima astratta solo assorta nella contemplazione delle cose eterne?
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Non mi sembra di forzare troppo il senso delle parole se attribuisco loro un significato più largo, intendendo per linguaggio dell' anima quello del sentimento spontaneo e sincero, quello cioè che tutti, dal più eccelso al più umile degli uomini, possono parlare e comprendere quando le parole semplici e nude sgorgano loro dal cuore.
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Questo è il linguaggio che italiani e francesi dovranno usare tra loro e non è certamente a caso se Veuillot lo udì a Roma e a Roma magistralmente lo parlò e lo comprese.
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Sulla via della soluzione L' on. Facta comporrebbe oggi il nuovo ministero.
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Le maschere della crisi
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Roma, giovedì grasso.
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Dicono che oggi sia carnovale, e infatti ritornando a Montecitorio, ho visto qualche maschera scarrozzare sul Corso.
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Ma qui dentro è giornata di quaresima.
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Nei corridoi e nella sala dei passi perduti vagano delle ombre stanche e squallide.
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Portano però tutte la maschera del proprio volto.
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Rimanendo nello stile della giornata, al curioso lettore di provincia farò qualche presentazione.
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Cocco-Ortu, detto anche semplicemente Cocco, deputato di Cagliari, ministro di Stato, ottantenne, alto, magro, segaligno, indurito a tutti gl' intrighi e a tutte le crisi, navigatore di lungo corso nel mare parlamentare.
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Per ogni situazione ha un precedente storico da far valere o un espediente da sfruttare.
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Parla irrequietamente, sibilando a traverso una dentiera sconnessa parole maligne e interiezioni acide.
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Cocco è uno dei presidenti delle democrazie riunite, ch' egli dirige col vecchio sistema degli agguati e degl' infingimenti.
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Sorride quando gli parlate d' idee e di programmi, s' illumina o si oscura quando gli parlate di uomini.
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Ha fatto la crisi, perché i ministri democratici del ministero Bonomi non gli piacevano e voleva piazzare degli altri.
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[
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Seguendo l' ispirazione del suo coetaneo Giolitti, vibrato il colpo, non credette alla profondità della ferita e sperò di rimarginarla rapidamente con degli scongiuri verbali.
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Ora il sardo schizza veleno.
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Sul volto però porta tuttavia la maschera della disinvoltura e in qualche intermezzo anche la maschera della benevolenza verso gli … alleati popolari.
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De Vito Roberto, deputato di Teramo, già ministro dei Trasporti con Nitti.
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55 anni, barba cappuccinesca, gran compilatore confusionario di decreti e relazioni, secondo presidente delle democrazie( i due gruppi sono riuniti, ma non ancora fusi) e congiurato con Cocco per abbattere Bonomi, o meglio il ministro dei L.L. P.P., di cui attende la successione.
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Né l' uno né l' altro sono giolittiani ad oltranza, ma assecondano Giolitti per omogeneità di tradizioni parlamentari e per il proposito di fiaccare il partito popolare.
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[
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Parlano di alleanza, ma intendono servitù sotto un padrone che, come il deputato di Dronero, vuole servirsi dei nuovi alleati per aumentare il potere dei vecchi amici.
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[
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Pasqualino Vassallo, deputato di Caltanissetta sessantenne, faccia glabra e occhi da camorrista, già ministro delle Poste con Giolitti 20-21;
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[
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giolittiano, fino ad un certo punto, anzi prontissimo ad abbandonarlo per seguire Orlando.
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[
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L' importante è di arraffare un portafoglio, indifferente quale, purché gli serva a mantenere quella specie di proconsolato che per disgrazia della Sicilia esercita oramai da parecchie legislature.
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[
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Fu identificato come il terzo promotore della crisi che vorrebbe ora liquidare comunque, a proprio beneficio.
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De Nicola, 45 anni, il più brillante, il più energico, il più abile presidente che si possa immaginare.
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[
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Ma sospinto sulla ribalta della crisi, si chiude nel chiostro d' impenetrabili resistenze.
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Appena fatto il suo nome, egli ha tolto non solo il contatto telefonico, ma ha tagliato corto con ogni approccio, con ogni avvicinamento di consiglieri e di amici, rifiutandosi di aprire i telegrammi e le lettere.
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È rimasto l' Amleto di questa crisi che si è avvolta intorno a lui, senza discoprirlo.
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Quale sarebbe stato il suo programma politico?
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Certo l' orientamento di sinistra.
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I suoi metodi?
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Certo i metodi dell' uomo nuovo che tiene conto della trasformazione portata nella Camera dall' organizzazione dei gruppi.
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[
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Per questo tutti gli antitradizionalisti lo invocavano.
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Era l' iconoclasta del vecchio Montecitorio.
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[
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Ma non volle.
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Perché?
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Chi accenna a ragioni personali, chi a quel suo stato nevrotico che talvolta dal banco della presidenza può sembrare energia, ma che forse egli ha la coscienza sia per un uomo di governo una debolezza.
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È certo però che vi sono anche delle ragioni parlamentari.
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De Nicola deve essersi detto:
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[
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Il mio metodo è troppo antigiolittiano per venir tollerato a lungo dal Vecchio.
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Riuscissi anche oggi, mi silurerebbe domani.
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Sono giovane, attendiamo tempi più tranquilli.
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Orlando, 62 anni, capelli bianchi, bel volto sorridente, parlatore sonoro e ornatissimo, professore di diritto costituzionale, con molta erudizione giuridica e nessuna coltura sociale, foggiatore di frasi fatte e improvvisatore alato e sentimentale.
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[
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In politica è più vecchio di Giolitti, ma più onesto e più sincero di lui.
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In questa crisi amò la posa del « miles gloriosus ».
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